Ciò che permette o meno di cambiare destinazione d’uso è la pratica urbanistica comunale.
Solo successivamente viene aggiornata la parte fiscale e quindi il catasto.
Per cui il cambio catastale ha il solo fine di definire l’ammontare delle tasse da versare.
Facciamo dunque chiarezza su questi punti, e sull’intero iter…
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Indice contenuti
- Cambiare destinazione d’uso: quali sono le destinazioni d’uso
- Quando si può cambiare la destinazione d’uso
- Cambio destinazione d’uso: a chi spetta
- Cambiare destinazione d’uso: tempistiche e procedura da seguire
- Cambio destinazione d’uso: occorre pagare gli oneri di urbanizzazione
- Cambiare destinazione d’uso: costi
- Cambiare destinazione d’uso: a chi rivolgersi?
Cambiare destinazione d’uso: quali sono le destinazioni d’uso
La destinazione d’uso di un immobile definisce le finalità di utilizzo dello stesso.
La normativa definisce 5 categorie (art. 23-ter Testo Unico Edilizia DPR 380/01):
1) residenziale: tutte le abitazioni, comprese quelle utilizzate in modo promiscuo (abitazione-studio professionale, abitazione-affittacamere, etc.) quando la prevalente superficie dell’unità sia adibita ad uso abitativo. Una sottocategoria è rappresentata dalle strutture turistico-ricettive (alberghi, campeggi ed aree di sosta, ostelli, e altre attività extra-alberghiere)
2) produttiva e direzionale: industrie, laboratori artigiani, corrieri, magazzini ed imprese edili, laboratori di riparazione e simili, officine e carrozzerie e in genere ogni attività finalizzata alla produzione di beni o servizi, oppure alla trasformazione di beni o materiali, anche quando comprendono, nella stessa unità, spazi destinati alla commercializzazione dei beni prodotti dall’azienda; banche, assicurazioni, sedi preposte alla direzione ed organizzazione di enti e società fornitrici di servizi, centri di ricerca, fiere, uffici privati e studi professionali in genere
3) commerciale: all’ingrosso, negozi di vicinato, media distribuzione, le attività commerciali di grande distribuzione, le attività commerciali all’ingrosso, i mercati, le esposizioni merceologiche e le attività di somministrazione di alimenti e bevande come ristoranti, bar, pub, etc.
4) agricola: produzione agraria, allevamento e forestazione, attività e servizi connessi e compatibili, campi coltivati, colture floro-vivaistiche, boschi, pascoli, abitazioni rurali, annessi agricoli e serre, costruzioni per allevamenti zootecnici, agriturismi, agri-campeggi.
E’ importante precisare che, nel caso che l’unità fosse interessata da diverse destinazioni d’uso, si assegna quella prevalente in termini di superficie utile.
In pratica, se una unità è produttiva al 50,01% e commerciale al 49,09 %, allora trattasi di immobile produttivo (ovviamente, le due attività devono essere collegate).
Quando si può cambiare la destinazione d’uso
Innanzitutto diciamo che il cambio destinazione d’uso è necessario quando si fa un utilizzo dell’immobile diverso da quello originario.
Se si resta all’interno della stessa categoria, non è un mutamento di tipo rilevante.
Ad esempio: se si vuole trasformare un’abitazione in affittacamere, non si tratta di cambio rilevante.
Se invece si volesse trasformare un locale destinato al commercio all’ingrosso (destinazione industriale) in un centro sociale (direzionale) dovremmo richiedere un cambio di destinazione d’uso.
Sintetizzando, il cambio di destinazione d’uso è sempre ammesso a meno che:
1) si viva in un condominio e il regolamento di tipo contrattuale (cioè approvato dai condomini all’unanimità) lo vieti espressamente; se invece il regolamento è stato approvato con qualsiasi altra maggioranza (assoluta, relativa, qualificata) non possono esserci restrizioni all’uso
2) l’immobile non possegga le caratteristiche intrinseche obbligatorie per legge: ad esempio, gli ambienti residenziali devono rispettare delle superfici minime (a titolo esemplificativo, bagno principale minimo 2,5 mq) e dei rapporti aero-illuminanti (cioè il rapporto tra le superfici finestrate e quelle dei locali), i cui valori cambiano da Comune a Comune
3) il Piano Regolatore Generale PRG (o il Piano strutturale e il Regolamento urbanistico) vietino sull’immobile il cambio destinazione d’uso (lo si può sapere solo recandosi al Comune). Ad esempio: per un edificio in centro storico il PRG indica come intervento massimo la manutenzione straordinaria, per cui al massimo si potranno aprire porte interne non esistenti, ma non si potrà demolire e ricostruire l’edificio o mutare il cambio di destinazione d’uso.
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Cambio destinazione d’uso: a chi spetta
Dunque, il cambio di destinazione d’uso, anche se attuato con lavori di modesta entità o senza opere, si configura come una ristrutturazione edilizia soggetta a Permesso di Costruire.
Infatti, alla fine dell’intervento, l’organismo edilizio risulterà diverso dal precedente.
Quindi, il cambio di destinazione d’uso ricade in RISTRUTTURAZIONE, per cui occorre presentare in comune un Permesso a Costruire.
A meno che il cambio avvenga nella stessa categoria (ad esempio da pub a ristorante), per cui è possibile utilizzare la CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata).
Dunque, ammettendo che vi rivolgiate ad una ditta per eseguire i lavori, sarà al loro direttore dei progetti che spetta lo svolgimento della pratica….
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Cambiare destinazione d’uso: tempistiche e procedura da seguire
Per quanto riguarda le fasi, il primo passo è contattare un professionista, che procederà con una richiesta di visura delle pratiche (il tempo necessario varia da Comune a Comune).
Ottenuti i documenti (vecchi permessi a costruire, concessioni, SCIA, agibilità, etc.), si conoscerà lo stato legittimo dell’immobile e si verificherà la regolarità urbanistica e quindi, l’assenza di abusi.
Una volta fatto ciò, si passerà alla verifica dei requisiti igienico-sanitari dell’intervento e all’eventuale progettazione degli spazi.
Infine, andrà compilato il Permesso a Costruire.
Nel giro di un paio di mesi, si potrà presentare la pratica urbanistica.
I tempi sono dovuti più che altro al reperimento dei documenti dell’immobile presso l’archivio comunale.
Successivamente sarà necessario effettuare una comunicazione di variazione anche dal punto di vista catastale (aggiornamento).
Tutto questo comporterà una modifica della rendita e della categoria, quindi differenti tasse da pagare (Imu, Tari, etc.)
Infine, prima di passare al nuovo utilizzo dell’immobile, bisognerà depositare al Comune il Certificato di Agibilità, a cui andranno allegati i certificati d’impianto etc. Quindi, per ottenere il passaggio, tutti gli impianti dovranno essere conformi alle normative in vigore.
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Cambio destinazione d’uso: occorre pagare gli oneri di urbanizzazione
La risposta è sì…
Ma analizziamo i fatti.
Quando si costruisce un nuovo edificio occorre pagare al Comune una quota della spesa che l’amministrazione ha investito in strade, acquedotti, fognature, illuminazione etc., attraverso i cosiddetti oneri urbanistici.
Il cambio destinazione uso ha per effetto il passaggio da una categoria ad un’altra.
Ne segue un differente carico urbanistico (diversi consumo di acqua, di carico nella fognatura, di uso di parcheggi etc.).
Dunque, in caso di cambio destinazione uso, anche se attuato senza opere edilizie, bisognerà pagare la differenza tra quanto bisogna corrispondere per la nuova destinazione e quello che si è già versato per la vecchia.
Questo, solo nel caso in cui la nuova destinazione determini un aumento.
Per cui, se con la precedente destinazione si è pagato 100 € in oneri, e con la nuova si sarebbero dovuti corrispondere 150, il Comune chiederà solo la differenza, 50 €.
Qualora invece diminuisse il carico, il cambio di destinazione d’uso sarà “gratuito”.
Ovviamente, tutto dipende dal tipo di mutazione e dal Comune (ognuno dei quali ha i suoi criteri).
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Cambiare destinazione d’uso: costi
Le variabili sono molteplici:
- interventi edili: spesso, nel cambiare l’uso, occorre mettere a norma gli impianti, realizzare finestre, allargare vani, etc.
- onorari dei professionisti, variabili a seconda che si debbano predisporre solo le pratiche urbanistiche e catastali o anche energetiche e impiantistiche, e che si configuri come obbligatoria la direzione lavori
- oneri di urbanizzazione e diritti di segreteria, che variano da comune a comune.
Quantificare è davvero difficile.
Diciamo solo che un magazzino di circa 50 metri quadrati da trasformare in negozio richiede circa:
40.000 € (800 al metro quadro) per la ristrutturazione (comprensiva ovviamente di impianti a norma e certificati)
5.000 € per la parcella dei professionisti (intorno al 12/15 % del totale)
5.000 € di oneri (1000 € per 5).
Per un totale di circa 50.000 €.
Cambiare destinazione d’uso: a chi rivolgersi?
Come visibile dall’esempio di cui sopra, con prezzi assolutamente di massima, la maggior parte dei costi è relativa a lavori edili e impiantistici.
Qualora dovessi realizzare un cambio di destinazione d’uso senza opere e gli impianti fossero a norma o certificabili, si risparmierebbe circa l’80%.
E qui dunque si arriva alla conclusione che affidarsi ad una buona ditta è essenziale.
Anche perché sarà la stessa che vi permetterà di usufruire dei bonus statali..
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